La sentenza 22 luglio 2015 della Corte d’Assise d’Appello di Milano che ha condannato all'ergastolo Maggi (oggi deceduto) apicale ordinovista del triveneto e Tramonte (attualmente in carcere) estremista di destra e informatore dei Servizi segreti, per la bomba di piazza della Loggia a Brescia, ha definito e chiuso la quinta istruttoria riguardante la strage.
Il percorso processuale tuttavia non è concluso; nuovi filoni di indagine sono tuttora in corso e riguardano due persone, la cui presenza in Piazza loggia è oggetto di controversia con gli avvocati delle difese, che potrebbero essere stati, secondo quanto ipotizzano i rispettivi provvedimenti di rinvio a giudizio, gli esecutori materiali dell’attentato. Uno dei due soggetti indagati era minorenne all’epoca dei fatti e, per questo motivo, il procedimento nei suoi confronti si svolgerà innanzi al Tribunale per i minorenni.
La sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano, confermata dalla cassazione il 20 giugno 2017 ha scolpito una verità processuale definitiva che inquadra la strage di Brescia dentro un contesto storico ben preciso: erano anni in cui le forze eversive di destra, connesse a infedeli uomini dello Stato e dell'Esercito, alla provata presenza di servizi segreti italiani e atlantici si resero responsabili, fornendo mandanti ed esecutori appartenenti ai loro ranghi, di una -mai casuale- sequenza di attentati, stragi, e addirittura tentati colpi di stato.
La strage di Brescia, giustamente definita la più “politica” fra le stragi attuate dalla destra eversiva, sia giuridicamente, per il capo di imputazione utilizzato, sia storicamente, per essere stata ordita in risposta a una convocata manifestazione antifascista, è forse l’esempio più eclatante del contesto poc’anzi evocato.
Era da poco trascorso il referendum sul divorzio, e a Brescia la risposta della destra reazionaria all’esito epocale di quel quesito referendario si espresse in una inquietante serie di intimidazioni, attentati e violenze. Per questo motivo il comitato unitario permanente antifascista convocò una manifestazione, in Piazza Loggia, il 28 maggio.
Il vile attacco fu dunque ordito ai danni di lavoratrici e lavoratori che erano in piazza per dichiarare la propria convinta militanza antifascista. Questo è il motivo per cui le 8 persone decedute a seguito dello scoppio della bomba avvenuto alle 10 e 12 di quel tragico giorno sono definite “caduti” e non possono essere ascritte semplicemente al rango di vittime di un atto terroristico. Furono vittime, certamente, come gli oltre cento feriti, ma consapevoli.
Nelle ore e nei giorni successivi la strage, si rivelò memorabile la capacità della comunità bresciana di gestire l’ordine pubblico a Brescia, soprattutto grazie all’impegno delle organizzazioni sindacali, presidiando vie e piazze cittadine e con queste anche l’assetto democratico del nostro Paese, fino al giorno dei funerali dei caduti quando la compressa sofferenza della comunità si manifestò attraverso una fragorosa contestazione agli allora rappresentanti delle istituzioni pubbliche.
Da quel giorno fino a oggi il prezioso lavoro prima dell’Associazione dei famigliari dei caduti e poi di Casa della Memoria ha saputo mantenere viva la memoria e soprattutto l'attenzione, mediante un costante impegno all'approfondimento dei fatti con un approccio metodologicamente ineccepibile; ciò ha consentito la raccolta di un patrimonio documentale enorme, forse uno dei più completi al mondo, su questi temi.
L’Università degli Studi di Brescia condanna fermamente ogni forma di violenza politica;
ricorda con sincera commozione le persone morte a causa della bomba neofascista, 5 delle quali -tra l’altro- erano insegnanti, e le sofferenze delle oltre cento persone colpite dallo scoppio, le cui ferite fisiche, anche una volta guarite, furono prolungate dal trauma generato dalla terribile esperienza subita;
dichiara convintamente il proprio impegno, testimoniato anche dalla convenzione da tempo siglata con Casa della Memoria per ogni possibile forma di collaborazione scientifica volta allo studio e comprensione del periodo storico che ha generato il terrorismo stragista e la lotta armata, dalla presenza nel consiglio direttivo del nostro centro di studi e ricerche “University for Peace” di un rappresentante di casa della memoria e la nomina dello scrivente nel comitato scientifico di casa della memoria;
infine e orgogliosamente rievoca l’attribuzione, votata all’unanimità dal Dipartimento di Giurisprudenza ma voluta dall’intero Ateneo a partire dalla sua governance, della Laurea Honoris Causa a Manlio Milani, infaticabile presidente dei famigliari e oggi di Casa della Memoria quale mirabile esempio di una intera esistenza votata alla ricerca della Verità e della Giustizia senza mai tralasciare la consapevolezza che la violenza (non solo quella politica) si previene solo con il dialogo e il reciproco riconoscimento.
Carlo Alberto Romano
Prorettore all’impegno sociale per il territorio